Fermate l’homo currens!

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 Una triste realtà quella in cui è immersa la nostra società, schiacciata dall’automatismo delle ore lavorative e dall’individualismo che si sta affermando sempre di più come forma mentis vincente. Fermate l’homo currens! è il grido di Francesco Cassano nel suo celebre libro Pensiero meridiano.

Le persone, tra cui pure gli studenti, stanno perdendo sempre di più lo spirito di collettività e anche la capacità di battersi per i diritti civili e le questioni sociali. La bassa affluenza alle manifestazioni è specchio di un dilagante individualismo, portatore di una pigrizia cronica nel battersi per altri popoli in difficoltà o per leggi ingiuste, tra cui, per esempio, quella sull’autonomia differenziata nel nostro Paese.
Dovremmo farci sentire anche noi studenti, poiché rischiamo di alienarci nello studio, dentro un sistema basato sulla competizione per i voti, con il rischio di vederci sminuiti nella nostra dignità e di compromettere le nostre ambizioni per il futuro.
Gramsci sosteneva: “La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri.” (da un articolo apparso su “Il grido del popolo” il 29 gennaio 1916).

Questa definizione di cultura mi sembra distante anni luce dalla concezione di cultura su cui si basa la scuola odierna, ormai basata sulla corsa spasmodica al compimento dei programmi ministeriali, senza considerazione per la “disciplina del proprio io interiore”, di cui parla Gramsci, mentre sarebbe preferibile che ad un ragazzo gli sia dato il tempo di accogliere le nozioni imparate a scuola per poi saperle interiorizzare; ciò sarebbe reso possibile creando delle pause didattiche in cui si possa discutere gli argomenti appresi senza l’ansia del voto.
Il 75% degli studenti italiani sono vittime di ansia e stress causati dall’ipercompetizione scolastica, tanto che non sembrano più una squadra di calcio, ma atleti che corrono i 100 m, con la conseguenza che, chi non riesce a correre al pari degli altri, finisce per sentirsi inferiore, con il rischio che le sue scelte di vita possano essere segnate dall’insicurezza, proprio di chi non si sente all’altezza del compito.

Sarei dell’idea di fermare questa corsa alla competizione e  promuovere un apprendimento di qualità in un nuovo contesto educativo e sociale.

Michele Guadagno, classe quinta

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